mercoledì 30 novembre 2011

Volevamo i capelli lunghi recensito da Repubblica.it

Su Repubblica.it, la recensione firmata da Giulia Iselle su "Volevamo i capelli lunghi", il nostro documentario sul film che il grande regista Mario Monicelli non riuscì mai a realizzare.



Un anno fa l'addio a Mario Monicelli, un documentario racconta l'opera inedita
La sera del 29 novembre del 2010 moriva uno dei maestri del cinema italiano. Esce un documentario sul suo film mai realizzato "Volevamo i capelli lunghi"

Ad un anno dalla scomparsa di Mario Monicelli, morto suicida come l'amatissimo padre, direttore antifascista del Resto, è uscito il libro a fumetti e il documentario sul film che il prolifico regista non riuscì mai a girare, Capelli lunghi. Lui che di documentari ne aveva fatto solo uno, il suo ultimo lavoro cinematografico dedicato al rione romano dove trascorse gran parte della sua vita intitolato Vicino il Colosseo c'è Monti. Nessuno come lui ha descritto tanto l'Italia dei Brancaleoni del dopoguerra: "E' stato il nostro Balzac, l'autore di una gigantesca commedia umana degli italiani" scriveva Curzio Maltese il giorno dopo il gesto estremo.

Il documentario Volevamo i capelli lunghi, prodotto dalle Officine Tolau, è realizzato da Stefano Aurighi, Davide Lombardi e Paolo Tomassone, insieme a Massimo Bonfatti, con un'intervista inedita a cura di Franco Giubilei al regista, che ripercorre la sua memoria raccontando la genesi di quest'opera - i motivi per cui non ha mai avuto uno sviluppo cinematografico - e del movimento del '68 e del terrorismo degli anni successivi. Il maestro della commedia all'italiana scrisse Capelli lunghi nella seconda metà degli anni '60, una sorta di controcanto alla canzone dei Nomadi "come potete giudicar, chi vi credete che noi siam, per i capelli che portiam". È la storia, ambientata in una località del modenese, semplice e rivoluzionaria di Michele, 17 anni, operaio tornitore dai capelli troppo lunghi per i benpensanti dell'epoca ed Esterina, 14 anni, che decide di scappare di casa come quella ragazza del pezzo dei Beatles "She's Leaving Home", che canta di una generazione che vuole conquistare la propria indipendenza. Un poeta, un sognatore, ribelle e libero, Michele combatte la propria battaglia quotidiana in famiglia e sul luogo di lavoro per una rivoluzione personale che sfida la società. I due si incontrano, fanno esplodere la loro forza di ribellione latente e decidono di assaporare la libertà a bordo di una moto rubata, ma la fuga d'amore on the road ha un tragico epilogo.

Il soggetto, rimasto in un cassetto, negli anni '90 è diventato un fumetto illustrato da Massimo Bonfatti. E, nel 2008, un libro (con il testo originale di Capelli lunghi dattiloscritto da Monicelli), scritto dal giornalista Franco Giubilei, che racconta la storia di questo film mancato che fu anche un romanzo, un saggio sull'Italia prima del '68, e un capitolo di diario del regista del volto allegro del neorealismo.



Il paradigma cileno

Da Repubblica del 29 novembre 2011, un articolo dello scrittore e giornalista venezuelano Moisés Naìm sulla protesta degli indignados in Cile, paese dove da mesi infiamma una durissima rivolta studentesca. Secondo Naìm, "capire quello che sta succedendo in Cile offre indizi utili per capire l'ondata di indignazione e proteste a cui stiamo assistendo in altre aree del pianeta".

Santiago de Chile Protest .


Sarebbe sorprendente se per le strade di Atene, Madrid o New York le proteste non ci fossero. La disoccupazione e la precarietà economica basterebbero a convertire milioni di rassegnati in milioni di indignati. Ma constatare che alcuni dei responsabili della crisi ora ci stanno guadagnando sopra produce una reazione umana quasi naturale: spegnere la tivù e scendere in piazza a protestare. Questo è facile da capire. Meno facile è capire perché la stessa cosa stia succedendo in Cile. E che importanza ha se le piazze si infiammano in Cile? In fondo è un piccolo e remoto Paese del Sudamerica e quello che succede laggiù non influenza molto il resto del mondo. È vero, ma capire quello che sta succedendo in Cile offre indizi utili per capire l'ondata di indignazione e proteste a cui stiamo assistendo in altre aree del pianeta.

sabato 26 novembre 2011

Old black bloc




E' inutile che ti nascondi con quel cappuccio a forma di cappello, ti abbiamo beccato.
Ecco il capo dei black bloc in azione a Modena.



Noi sappiamo chi sei e presto finirai nel nostro nuovo documentario "Rimetti a noi i nostri debiti".


giovedì 24 novembre 2011

lunedì 21 novembre 2011

Una risata vi seppellirà

Mentre negli Usa non si placano le polemiche per il poliziotto che tranquillamente inonda di spray al peperoncino gli inermi studenti della Davis University of California (qui il video), su tumblr - la piattaforma di microblogging di maggior successo dell'ultimo anno - nasce Peppersprayingcop, una pagina dove il panzuto turore dell'ordine (e tutto quello che simboleggia) viene bellamente sbeffeggiato.
Della serie: una risata vi seppellirà.


sabato 19 novembre 2011

Dove sono finiti gli aiuti per il risanamento

Intervistato da Paolo Casicci sul Venerdì di Repubblica del 18 novembre 2011, l'economista tedesco Max Otte spiega come gli enormi interventi pubblici per il salvataggio degli stati UE in crisi, siano soprattutto serviti a foraggiare ancora una volta banche e oligarchie finanziarie.

«La storia parte da lontano. Nel 2008 la crisi ha travolto l’economia mondiale, ma, almeno per ora, il crack è stato evitato grazie a massicci interventi pubblici. I costi però sono stati enormi: il solo Fondo tedesco per la stabilizzazione del mercato finanziario ha attivato misure per oltre 200 miliardi di euro, cioè 2500 euro per ciascun tedesco. Cifre che non tengono conto, ancora, dei programmi congiunturali e delle iniezioni di liquidità della Bundesbank e della Banca centrale europea. Ora, se la politica avesse imparato dalla crisi, avremmo forse potuto riprenderci del tutto. Ma, passato lo spavento, banche d’investimento e operatori finanziari hanno ricominciato a gestire affari molto rischiosi, e spesso tossici, senza essere ostacolati dalla politica. E quello che Angela Merkel aveva promesso nel 2008, e cioè che ogni operatore, prodotto e attività finanziaria dovessero essere sottoposti a norme nuove e più stringenti, è finito nel dimenticatoio. Così adesso le scosse si susseguono a intervalli sempre più brevi».

Ed ecco il caso Grecia.
«Che ha spinto i politici a farsi in quattro per “salvare la Grecia, l’euro e l’Europa”. Queste, però, sono tre menzogne. Né l’Europa, né i cittadini greci, né quelli dei Paesi creditori come la Germania hanno tratto alcun vantaggio dai 110 miliardi di euro messi a disposizione dai Paesi europei nel 2010 come “pacchetto di salvataggio”. Il nostro denaro non è andato in Grecia, Irlanda o Portogallo: è finito ancora alle banche, che si sono arricchite di nuovo. Questa volta con i prestiti greci».

Insomma: i governi, compreso quello tedesco, stanno provando a salvare le banche fingendo di voler salvare i cittadini?
«Esattamente. I beneficiari dei pacchetti di salvataggio sono le banche d’investimento e i super ricchi, che invece dovrebbero pagare per i propri errori. Il contagio greco è uno spettro preparato dall’oligarchia finanziaria perché si corra ai ripari. Il fallimento della Grecia e l'uscita dalla zona euro di Atene sarebbero, in realtà, l'unico modo per aiutare i greci e frenare il disastro».

Come funzionerebbe questa «bancarotta pilotata»?
«Non sarebbe la prima volta nella storia. In caso di insolvenza di uno Stato, quest’ultimo comunica ai creditori che non può far fronte ai propri debiti. Allora, debitore e creditori si accordano su uno stralcio o una ristrutturazione del debito e i creditori rinunciano a una parte delle loro richieste. Ma chi sono questi “creditori”? L’oligarchia finanziaria sta facendo passare l’idea che si tratti dei cittadini. Invece, i creditori privati sono le banche e le società di servizi finanziari. Soprattutto, istituti di credito spesso nelle mani di miliardari e oligarchi greci. È questa la casta che adesso stiamo salvando: non l’euro, non la Grecia e
neppure i greci».

Leggi tutto l'articolo.

New York, venerdì 18 novembre, foto di Tomaso Clavarino. (Fonte: Il Post)

giovedì 17 novembre 2011

Volevamo i capelli lunghi (di Monicelli) - Il documentario integrale

Il film che Monicelli non riuscì a girare è diventato un documentario, che qui sotto potete vedere integralmente. Il maestro della commedia all´italiana scrisse "Capelli lunghi" nella seconda metà degli anni ´60, la storia semplice e rivoluzionaria di Michele, operaio dai capelli troppo lunghi per i benpensanti dell´epoca (ma c'è da giurare che anche oggi, vista l'aria che tira, non sarebbe un film tanto gradito alla galassia economico-finanziaria che regge le sorti del Paese).
Ribelle, libero, sognatore, Michele combatte la propria battaglia quotidiana in famiglia e sul luogo di lavoro per una rivoluzione personale che sfocerà però in tragedia.

Il soggetto, rimasto in un cassetto, negli anni ´90 è diventato un fumetto illustrato da un grande autore: Massimo Bonfatti. E, nel 2008, un libro, scritto dal giornalista Franco Giubilei, che racconta la storia di questo film mancato, e delle immagini a fumetti che gli hanno dato comunque vita.

Ora tutto questo è diventato un documentario, realizzato dalle Officine Tolau. E' un viaggio vero e proprio nella memoria di Mario Monicelli, alla scoperta del film che non riuscì a realizzare perché la rivoluzione, all´epoca, non poteva entrare al cinema. E Monicelli, nella lunga intervista inedita contenuta nel documentario, non si tira certo indietro su questi temi, al contrario: sul movimento del '68 e sul terrorismo degli anni successivi, le sue parole sono così scomode da costringere tutti ad una rilettura di quegli anni.

Da New York a Bologna, la protesta non si ferma

Secondo Linkiesta, lo sgombero di Zuccotti Park deciso dal sindaco Bloomenberg non fermerà il movimento di "Occupy Wall Street". Né negli Usa, né nel resto del mondo, pur con tutte le differenze esistenti tra le varie declinazioni della protesta globale.

Ma se ormai è chiaro il "Chi sono" degli indignados, resta da capire "Dove vanno".

E' quello che si chiede proprio su Linkiesta Enrico Pedemonte, secondo il quale, il movimento non starebbe rinnovando la sinistra: "Occupy Wall Street è la riscossa del pensiero di sinistra dopo trent’anni di egemonia liberista o solo un sussulto movimentista destinato a lasciare tracce marginali di sé? Negli Usa, c’è chi legge questa protesta come un segnale che il ciclo trentennale del reaganismo è ormai concluso e una nuova era sta sorgendo. Solo che non ci sono ricette per alimentare l’era progressista che sarebbe alle porte, né si trovano moderni Keynes. Il nuovo credo progressista si basa sul binomio “guinzaglio alla finanza” e “più tasse ai ricchi”. Un po’ poco". Per Pedemonte "Occupy Wall Street è la febbre che segnala la malattia in corso, ma la medicina non c’è ancora".

Il video dello sgombero di Zuccotti Park:




Anche a Bologna, ieri la polizia ha sgomberato i ragazzi che occupavano l'ex cinema Arcobaleno, struttura in disuso da anni. Una struttura che, per Franco Berardi, detto Bifo, storico ex leader di Radio Alice è "un buco nero, un monumento al nulla culturale di questa classe politica corrotta. E tale deve rimanere: un monumento al nulla".

"Quando avevo 16 anni - ricorda Bifo - il mio professore di filosofia mi portava a vedere i film d'essai al cinema Arcobaleno. In quel luogo ho visto 'Il Vangelo secondo Matteo' di Pasolini, ho visto 'Persona' di Ingmar Bergman. Poi i tempi sono mutati, e cio' che e' apparteneva alla comunita' e' stato sottomesso all'interesse privato di pochi". Chiara anche la critica al Comune che, continua Bifo, "dovrebbe proteggere l'interesse collettivo" e invece "è divenuta strumento della sopraffazione".

"Come accade sempre piu' spesso gli interessi del profitto, della rendita immobiliare e della speculazione prevalgono sugli interessi della comunità" conclude Bifo che però promette "continueremo la nostra azione, nell'autonomia e nella dignità di chi non si vende" (Fonte: ADNKronos).

Sempre nel capoluogo emiliano, ieri gli indignados hanno innalzato un muro di circa un metro davanti alla filiale Unicredit di Piazza Aldrovandi, all'urlo "Unicredit pagaci le tasse!" (qui il video).

Fonte immagine: Twitpic

mercoledì 9 novembre 2011

Costi scandinavi e prestazioni sudamericane

Il bello di Internet è che ormai i commenti a post o articoli pubblicati sono spesso più interessanti degli stessi. Come questo commento di tal Carlo Grezio a questo post di Oscar Giannino.

In questo paese non esiste più da tempo una classe politica capace di inquadrare i problemi gerarchicamente e di impostare strategie di ampio respiro capaci di poggiare su più pilastri per arrivare ad un risultato strutturale e consolidato nel tempo .
Si continua a parlare di ipotesi di singoli interventi senza avere una quadro di riferimento condiviso di problemi, cause ed effetti e nemmeno di obbiettivi di medio lungo periodo.

Le cosiddette manovre sono un guazzabuglio di provvedimenti parziali e contraddittori, oltre che mal scritti.
E’ tutto un rincorrersi di pannicelli caldi e palliativi, come diventa qualunque provvedimento se non è preso in una cornice ampia e coordinata ,che eviti contraddizioni e effetti collaterali e perversi.

DEBITO PUBBLICO: non è la causa, ma l’effetto della dissennata gestione in deficit della amministrazione pubblica da oltre un secolo. Se non pareggi mai costi e ricavi alla fine avrai un debito insostenibile.(ovviamente da misurarsi non rispetto al Pil, ma rispetto alle entrate annuali). Che senso ha ipotizzare manovre straordinarie di riduzione del debito se non si blocca il meccanismo che l’ha fatto inesorabilmente crescere anno dopo anno?

CRESCITA ECONOMICA: ormai ferma da oltre un decennio pur misurandola – in modo più o meno truffaldino – inserendo nel PIL quote crescenti di economia sommersa. E’ indispensabile che riprenda la crescita non solo perché così risulterà più agevole gestire lo stock di debito pubblico, ma per risolvere problemi di disoccupazione, di povertà crescente, di distruzione di ricchezza cumulata, di futuro per i giovani.
Non si avrà ripresa della crescita senza misure di incentivazione/attrazione degli investimenti, quindi di riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa.

PRESSIONE FISCALE: insopportabile sia che la si misuri come quota % di un Pil misurato in modo truffaldino (cioè incrementato dell’economia sommersa) ormai al 45 – 46 %, sia che la si misuri – come sa chi paga le tasse – in termini del 60-65% su chi produce redditi da lavoro e da impresa. Ne deriva che la pressione fiscale è fortissima su lavoro e impresa, molto forte sui consumi e molto blanda sulle rendite.(per i rentiers puri l’italia è di fatto un paradiso fiscale) . Questa situazione – assolutamente ingiusta anche in caso di finanza pubblica in ordine – è causa , non effetto, della bassa crescita economica.

EVASIONE FISCALE: è contemporaneamente causa ed effetto di una serie di fenomeni. Sicuramente è causata da aliquote marginali particolarmente esose richieste in cambio di servizi pubblici vergognosi, ma soprattutto congegnando il tutto in modo che chi può sottrarsi facilmente alla tassazione lo possa fare senza porsi più di tanto il problema. Alla fine abbiamo una pressione fiscale insopportabile ai danni di chi non può sottrarsi, per esempio i lavoratori dipendenti (non perché più onesti, infatti sono disponibilissimi in genere a mettere in nero parte delle loro prestazioni – per es gli straordinari) accompagnata da una forte disattenzione/complicità rispetto a chi può sottrarsi più facilmente.

Grande è la confusione sotto il cielo

Nel conflitto globale dichiarato tra le oligarchie politico finanziare e le democrazie cui accennavamo nel post di ieri riprendendo un articolo di Nadia Urbinati, esiste una specificità tutta italiana che rende - se possibile - ancora più grande la confusione sotto il cielo.

Infatti in Italia ben più che altrove, come ci ricorda l'economista Franco Debenedetti, cause del debito sono spese e sprechi. Vizi endogeni che nemmeno un cieco potrebbe negare essere elementi strutturali del quadro socio-economico di questo Paese. Vizi endemici, non certo frutti del sole estivo di questo 2011, mostruosamente amplificati dal disastro politico che il tramonto di quasi un ventennio di berlusconismo porta con sé, travolgendo tutto e tutti.

Come ai vecchi tempi

Graham Nash e David Crosby suonano a Zuccotti Park per Occupy Wall Street (Fonte: Il Post)

martedì 8 novembre 2011

La democrazia? Un problema. Per i "mercati"

La democrazia? Rischia di essere messa in naftalina.

E' quanto sostiene la politologa Nadia Urbinati che, in un articolo pubblicato su Repubblica di oggi, analizza le ragioni dello scontro in atto tra il movimento degli indignados (o Occupy Wall Street, come li si voglia chiamare) e le oligarchie economico finanziarie globali che, di fatto, sono i veri Masters of the Universe contemporaneo.

Nelle democrazie - spiega Urbinati - le oligarchie che da sempre governano in tutti i tempi e tutti i luoghi, vengono incorporate nel sistema (democratico). Almeno, fino a quando "l'economia cresce e produce ricchezza alla quale tutti, chi più e chi meno, possono sperare di accedere e, nei fatti, vi accedono anche. Ma quando questa condizione decade, allora la moltitudine comincia a proporre politiche che intaccano le ricchezze e le proprietà dei pochi, politiche fiscali redistributive. È a questo punto che la differenza tra oligarchia e democrazia si mostra con tutta la sua radicalità".

"Occupy Wall Street – prosegue la politologa - è il segno che la tregua tra oligarchia e democrazia si è interrotta. Le pressioni delle dirigenze finanziarie e bancarie sulla democrazia greca (...) affinché non ricorra al referendum è il segno di un'escalation del potere oligarchico su quello democratico. E che il popolo greco non vada al referendum è un segno del potere che l'oligarchia ha di fare sentire la sua voce. Ma è anche un segno del fatto che le procedure democratiche stesse possono diventare un problema se il loro uso paventa esiti che possono mettere a repentaglio l'interesse materiale dei pochi".

domenica 6 novembre 2011

Lo spot di Occupy Wall Street

Da sabato scorso alcune importanti televisioni americane – Bloomberg, ESPN, CBS Sports e Fox News – trasmettono uno spot che promuove la causa dei manifestanti di Occupy Wall Street. La pubblicità andrà in onda almeno fino a lunedì, anche su alcuni canali locali: dura 30 secondi e mostra nove manifestanti descrivere brevemente i loro desideri e le loro ragioni. Il regista dello spot si chiama David Sauvage. Gli spazi televisivi sono stati acquistati grazie alle donazioni di 168 cittadini, e lo spot non contiene alcun invito a donare dei soldi. «Non vogliamo che la gente ci mandi dei soldi», ha detto il regista, «bensì che decidano di impegnarsi nel dibattito politico: vogliamo che la gente capisca che le persone che stanno protestando sono normali e hanno preoccupazioni sensate». (via Il Post)

sabato 5 novembre 2011

La rivoluzione? Cambiare i rapporti sociali di produzione

Su Internazionale in edicola questa settimana, il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek, spiega perché le richieste degli indignados, nostrani e non, vadano oltre la semplice critica radicale a politiche errate nei confronti degli ormai famosi 99% (cioè tutti coloro che non sono parte di quell'1% che detiene la metà della ricchezza del pianeta), ma, citando Marx, centrano la questione che la "libertà non dovrebbe essere riferita solo alla sfera politica, cioè a cose come le libere elezioni, l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa o il rispetto dei diritti umani. La vera libertà risiede nella rete “apolitica” dei rapporti sociali, dal mercato alla famiglia, dove la trasformazione necessaria per promuovere dei miglioramenti non è la riforma politica, ma un cambiamento nei rapporti sociali di produzione".

Elemento che, evidentemente, riannoda il filo rosso che lega proteste apparentemente tra loro distanti come quelle della primavera araba e i movimenti nati in Spagna o da Occupy Wall Street.

Leggi tutto l'editoriale su Internazionale.

Fonte immagine: United for global change

Fonte immagine, Occupy Germany

martedì 1 novembre 2011

La mia banca mi presterebbe 7mila euro, ma poi ne vorrebbe indietro 9726: + 40%

Quando il telefono squilla, ho appena immerso il cucchiaio di legno nell'acqua bollente, pronto a recuperare uno spaghetto per saggiarne la cottura. Eccheppalle, sempre all'ora di pranzo chiamano per proporti nuovi contratti telefonici.

Vabbè, vediamo.

Aiuto! Sul display appare il numero della mia banca. Non il centralino, proprio il numero della mia filiale. Avrò fatto qualche casino? Il mio rosso in banca è troppo rosso? Cosa c'è di così urgente da chiamarmi a casa all'ora di pranzo? Non è mai successo in vent'anni.

Sfodero un "pronto?" sicuro, da uomo innocente ed integerrimo, deciso a vendere cara la pelle e a non far scuocere la pasta.

"Signor Aurighi?"
Qui non posso negare: "Si, buongiorno".
"Buongiorno signor Aurighi, è la filiale XYZ della Banca XYZ", dice una voce femminile cortese e davvero gentile.
Penso tra me e me : "Vabbè, fin qui lo sapevo".
"Signor Aurighi, il suo nome risulta tra quelli..."
Mi cade il cucchiaio nell'acqua bollente. Sta a vedere che ho fatto davvero qualche casino.
"Il suo nome risulta tra quelli a cui la banca ha deciso di fare..."
"Un mazzo così", penso.
"...un prestito a condizioni favorevoli".

Il discorso di Renzi è stato scritto da Beppe Grillo



Al netto della retorica piaciona e delle ovvietà sparse a piene mani, quello di Matteo Renzi al Big-Bang di Firenze è stato un discorso che sembrava scritto da Beppe Grillo.

Certo, il giovin Matteo non parla con il microfono nelle viscere come Grillo, che schiuma furore ad ogni sillaba. Però è evidente: dietro la forma scanzonata dell'accento toscano, che ingentilisce anche i sassi, passa la sostanza poderosa del grillismo di Renzi, applaudito proprio nei passaggi-chiave che sono così poco Pd e così tanto Cinque Stelle.

Facciamo il gioco delle analogie con il grillismo? Facilissimo.
Dice Renzi: “Smetteremo di pensare che si può vivere oggi pensando che si può lasciar da pagare a quelli che verranno dopo. E su questo la vera sfida sarà la questione ambientale”. Ma va? Pare di averla sentita altrove prima che dentro il Pd. Era ora, comunque.